Nella giornata di sabato 6 dicembre, 3 membri dell’associazione Shingen sono andati a Modena per prendere parte all’annuale seminario invernale di Kendo della CIK.
Il seminario si sarebbe articolato su due giorni, ma vista la fitta lista di impegni di questo periodo dell’anno, a malincuore si è optato per una trasferta in giornata.
La delegazione giapponese di quest’anno era composta dal maestro Sakudō Masao, hachidan hanshi, e dai maestri Hanazawa Hiroo e Nasu Nobuo, hachidan kyoshi, oltre a tanti alti gradi CIK!
Dal punto di vista dell’allenamento abbiamo passato una prima parte della mattinata seduti ad ascoltare le parole di Sakudō-sensei su varie tematiche, per poi dividerci in tre gruppi in base al grado e dedicarci allo studio dei kata. Dopo una pausa pranzo di un’ora e mezza ci siamo ritrovati e nuovamente divisi. Nel nostro gruppo, guidato da Nasu-sensei, abbiamo praticato kirikaeshi, studiato il seme e le occasioni per colpire e praticato hiki waza. Infine abbiamo sciolto i ranghi e ci siamo dedicati al jigeiko, di cui una prima mezzora ha visto i kendoka da godan in su fare da motodachi, e la seconda è stata completamente libera. La giornata si è conclusa con una breve pratica di kakarigeiko.
Ogni seminario presieduto da maestri giapponesi si può dire che presenti degli elementi costanti: in primo luogo un’altissima qualità dell’insegnamento, sotto un profilo tecnico. In secondo luogo il focus sulle basi, su cui si costruisce tutta la pratica e la cui importanza i maestri non si stancheranno mai di sottolineare.
Ma c’è qualcosa che è ogni volta unico, ovvero il vissuto, la personalità e l’approccio didattico dei singoli insegnanti. Nell’ultimo periodo la Shingen si è presentata a Novara, a Verona, a Bologna e infine a Modena. In tutti questi casi gli hacidan hanno portato la loro personale esperienza, il loro personale approccio, e ci hanno mostrato come, se la linea d’azione è sempre quella, il modo di seguirla di ognuno di loro è completamente diverso. Questa volta è stato il turno di Sakudō-sensei di mettere in gioco la propria personalità.
Per prima cosa ci è stato spiegato cosa si intenda, in Giappone, con l’espressione kangeiko. Letteralmente si tratta di un “allenamento invernale”, ma mentre in Italia pensiamo ad un seminario federale, in Giappone è un allenamento intensivo invernale più o meno lungo; all’università di Educazione di Osaka dove insegna Sakudo sensei, ad esempio, è di circa due settimane, in cui ogni giorno si segue un rigoroso programma di allenamento, con lo scopo di verificare ciò che si è raggiunto durante l’anno di pratica, rispondere alle domande che ci si era posti l’anno precedente, e porsene di nuove, per ricercare la soluzione nell’anno di pratica a venire.

Non si studiano cose particolari in questa occasione, si praticano solo gli esercizi di base, quelli più faticosi, in cui in gioco non c’è solo la tecnica, ma anche e soprattutto lo spirito: ad Osaka sono 50’ di kirikaeshi, 50’ di jigeiko e 50’ di kakarigeiko solo la mattina, per poi fare 1h30’ di jigeiko il pomeriggio.
In Giappone le stagioni sono molto ben definite, ognuna è caratterizzata da un clima piuttosto violento e comunque gli eventi naturali di grande portata, spesso addirittura catastrofici (si pensi allo tsunami che ha colpito l’arcipelago nel 2009), sono molto frequenti Queste condizioni ambientali hanno fatto sì che l’uomo si abituasse a convivere con un mondo più grande e più forte di lui, a non sentirsene il padrone assoluto, ma un abitante tra tanti altri. Un abitante piccolo ma ingegnoso, che pertanto si deve adattare. E ogni stagione ha i suoi simboli. Quella che segue non è la versione letterale, ma un adattamento di alcuni versi che il maestro Sakudō ha recitato.
La primavera si respira nel profumo dei fiori,
l’estate si ode nel silenzio dei campi,
l’autunno è illuminato dalla luce della luna,
e l’inverno è coperto dalla neve.
Quella del kangeiko è una pratica invernale. Una pratica che deve avere qualcosa a che fare con la neve: la neve è fredda, dura da sopportare, ci mette alla prova. Ma essa ci ripulisce anche di tutto lo sporco, di tutti gli errori che le altre stagioni ci hanno lasciato addosso. È la morte apparente prima di un nuovo inizio.
Il maestro ha poi parlato dell’insegnamento, e soprattutto dell’insegnamento rivolto ai bambini. Il discorso non era limitato alla sola pratica del kendo, ma al futuro di quest’arte marziale e al futuro ruolo che i giovanissimi dovranno ricoprire nella società. Ha parlato dell’importanza dell’esempio, dell’ambiente in cui si vive e si studia, della relazione tra maestro e allievo, dell’importanza della figura materna e della famiglia in genere, a sostenere il bambino nel suo percorso.

Di tutte queste cose non ha discusso in maniera nozionistica. Il maestro ha letto più di una poesia, per accompagnare il suo discorso. Un concetto credo meriti ulteriore riflessione:
Per sconfiggere un’altra persona basta la forza,
ma per sconfiggere sé stessi, è necessaria flessibilità e morbidezza!
È vero, se la natura ci ha forniti dei mezzi necessari, se siamo forti, se possiamo imporci, questo spesso può permetterci di vincere contro gli altri con la mera forza. Una forza, tra l’altro, che facilmente può sconfinare nell’ingiustizia e nel sopruso.
Ma per quanto ci accaniamo, per quanto tiriamo i muscoli, questo non ci aiuterà a vincere noi stessi. È come un cane che si insegue la coda: crede che girando più velocemente prima o poi la raggiungerà, ma quella coda è parte di lui, e anch’essa girerà più velocemente, mantenendosi fuori portata. Per vincere dunque serve flessibilità, ovvero serve capire di più di noi stessi, e piegarci laddove possiamo piegarci, modificarci laddove possiamo modificarci. È un lavoro di fino, un lavoro di pazienza, che richiede auto-ironia e imparzialità di fronte a sé stessi. Uno degli aspetti del kendo su cui dovremmo fare molta, molta più attenzione. Perché ci può trasformare in persone migliori.